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FUORI delle RIGHE

sadducei

Coinvolti dalla vita futura - Lc 20,27-38

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».


si avvicinarono a Gesù

Gesù è nel tempio a insegnare siamo ormai alla conclusione del viaggio che Luca racconta; “i capi dei sacerdoti e gli scribi” come “i capi del popolo” cercano un modo per porre fine allo scandalo del suo insegnamento (Lc 19,47). In questo contesto leggiamo la domanda e il racconto dei sadducei, i più ricchi e potenti della casta sacerdotale. L’immaginazione dei sadducei nella loro parabolina non è del tutto distante dal modo in cui assai ingenuamente rappresentiamo il paradiso e tutto l’aldilà. Siamo influenzati da tradizioni e miti che precedono la fede cristiana, dalle origini più disparate, che perpetuano ancora oggi usi, costumi e riti familiari che accompagnano il mistero della morte: c’è ancora chi lascia al defunto i denari per pagare Caronte di dantesca memoria. Non abbiamo un’altra esperienza rispetto a quella terrena fatta di spazio e di tempo, così questa condiziona il nostro pensiero: immaginiamo l’aldilà come una sorta di prolungamento dell’aldiqua.


I figli di questo mondo

Due sono le realtà che il Signore racconta nella sua risposta: “questo mondo” e la “vita futura”; sono i tempi diversi che si coniugano al presente e al futuro, ognuno con dinamiche e caratteristiche proprie: il tempo presente ha bisogno di futuro per essere; il futuro è fatto soltanto di presente.
Può sembrare un giro di parole ma “questo mondo” si concretizza nella storia e vive tra il passato e il futuro, è il tempo delle dinamiche umane che Gesù, rispondendo alla provocazione, descrive con il “prendono moglie e sono maritate”. L’uso del verbo una volta in senso attivo ed uno in senso passivo rappresenta lo stato della donna che entra nei possedimenti dell’uomo, lo scopo è quello di creare futuro nella discendenza. L’uomo destinato alla morte sopravvive a se stesso generando altri uomini mortali. Il corso di “questo mondo” tra il passato e il futuro si esprime nella dinamica generazionale: la necessità di dare vita è determinata dalla ineluttabilità della morte. Ma l’uomo, che vive  questo versante della realtà nella finitezza, esaurisce così la sua totalità?


sono figli della risurrezione

I figli della resurrezione, proprio perché non possono più morire escono dalla dinamica della generazione. Dice san Paolo ai Galati a proposito dei Figli di Dio: Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (3,28).
Gesù non ci autorizza a fantasticare sulla realtà futura, ci chiede piuttosto di affidarci a Dio in quanto suoi figli: “Ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (1Gv 3,2).
Gesù però parla dei “figli della resurrezione” al presente, perché la “vita futura” ci coinvolge già adesso. Così che l’unione tra l’uomo e la donna non è un surrogato per superare la debolezza della morte, piuttosto è espressione umana della piena comunione di Dio e l’umanità (Cfr. Ef.5,32). Questo forse è il più grande mistero della esperienza cristiana che anticipa nella realtà storica quello che contempla come promessa. Le realtà del tempo presente, i nostri affetti, le nostre relazioni che danno ricchezza e concretezza alla nostra esperienza, proprio “perché tutti vivono per lui”, non sono destinate ad essere annientate; la nostra umanità non è destinata a disperdersi in una realtà celeste, ma a ritrovarsi. San Paolo afferma che tutto ciò che appartiene alla terra e al cielo non sarà separato; il disegno di Dio è “ricondurre al Cristo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra” (Ef 1,10).